Con due sessioni di esperimenti in mare e la revisione finale si conclude il progetto ROBUST, per la progettazione di robot autonomi in grado di individuare giacimenti di metalli sui fondali marini, minimizzando l’impatto ambientale.
Immense risorse si celano sui fondali del Pianeta Acqua, sepolte a grandi profondità, e difficili da raggiungere e da prendere senza mettere i pericolo i fragili ecosistemi marini. Si tratta delle formazioni rocciose composte da manganese e altri metalli, ormai in via di esaurimento sulla Terra, ma che sono strategiche per diversi settori industriali.
Il progetto ROBUST, portato avanti da ISME e da diversi partners europei, ha messo a punto un sistema robotico autonomo per cercare e individuare i giacimenti di metalli limitando l’impatto sull’ambiente.
Di ROBUST, e delle tecnologie messe in campo abbiamo già parlato diffusamente su questo sito, così come abbiamo sottolineato gli immensi problemi connessi alla salvaguardia dell’ambiente marino che le pratiche estrattive portano con sé, e a cui è anche responsabilità degli scienziati fornire delle risposte.
Ora ROBUST è giunto al termine: con quali risultati?
“Il nostro scopo – commenta Enrico Simetti, del nodo ISME dell’Università di Genova – era quello di mettere a punto un robot autonomo in grado di portare avanti la prima e fondamentale operazione di ricerca e individuazione di giacimenti promettenti. Fino ad ora, anche la ricerca delle “pepite”, i noduli composti da manganese e altri metalli, era altamente invasiva per l’ambiente, perché non c’era modo di stabilire a priori la composizione o l’estensione di un giacimento senza scavare, e molto costosa, dovendosi avvalere di diversi veicoli pilotati da remoto e navi di appoggio”
ROBUST ha messo a punto una serie di veicoli autonomi in grado di individuare con precisione i giacimenti di pepite, e sottoporli a scansione spettroscopica sul posto, per individuarne la grandezza, e stabilire quali metalli le compongono.”
“La fase finale del progetto – prosegue Simetti – ha visto due serie di esperimenti in mare con i veicoli, uno condotto al largo della costa di Cagliari e uno a Spezia. Entrambi i test hanno validato quello che è forse la parte più delicata e originale del progetto: la capacità cioè del veicolo di “atterrare” con precisione millimetrica sul fondale e di eseguire una prima scansione spettroscopica che determina se il nodulo trovato è abbastanza interessante per poter dare avvio alle operazioni successive. La precisione dell’atterraggio è fondamentale, perché il nodulo deve trovarsi all’interno del ragioni azione del braccio meccanico del veicolo. Sul braccio è infatti montato un sensore laser che si avvicina al nodulo ed esegue l’analisi spettrale del composto metallico, in grado di determinare quali elementi della tabella periodica lo compongono”.
“Infine – conclude Simetti – alcune delle tecnologie impiegate hanno mostrato di funzionare, e di poter essere applicabili anche in altre missioni sotto il mare: la capacità di seguire un percorso ad altezza e profondità costanti, la capacità atterrare entro uno spazio, e di spostare in modo preciso il braccio robotico, sono tutti comportamenti grati dalla combinazione di 16 comandi “di base”, che creano in questo modo un canovaccio di azioni che possono essere variamente combinate, con una flessibilità che garantisce la possibilità di impiego di questi sistemi in una grande varietà di task e missioni”.
