Tra cambiamenti climatici, inquinamento e sfruttamento delle risorse, la nostra specie ha fatto di tutto per mettere in crisi gli ecosistemi, quello marino in particolare.
Adesso si sta lavorando per riportare la situazione, al momento critica, in una condizione di stabilità. Gli abitanti del mare, flora e fauna, risentono di questi cambiamenti e vanno costantemente monitorati affinché non si arrivi a una condizione di non reversibilità.
L’acidificazione degli oceani, le temperature, ma anche la pesca intensiva e l’inquinamento acustico sono i fattori che maggiormente minacciano questi habitat complessi e preziosi.
Cosa possiamo fare? Proviamo a delineare degli scenari ottimistici con Lisandro Benedetti-Cecchi, professore di ecologia e pro-rettore alla ricerca europea e internazionale all’Università di Pisa.
Gli ecosistemi marini sono molto poco conosciuti.
Secondo gli scienziati del World Register of Marine Species (Worms), la maggior parte delle specie marine sono ancora da scoprire. Il team del Worms ha censito fino ad ora 232 250 specie, 444 936 nomi.
La domanda su quante specie marine esistono è importante perché fornisce una metrica delle nostre conoscenze della vita negli oceani, e permette di pianificare azioni di tutela e conservazione. Worms, il primo registro delle specie marine del mondo, che ha visto la luce nel 2012, può essere utilizzato per stimare quante specie possano essere scoperte.
Science Direct,The Magnitude of Global Marine Species Diversity
Rispetto alle specie note, si stima che nei mari e negli oceani di tutto il pianeta la biodiversità marina sia molto più estesa: ci sarebbero tra i 500.000 e 2 milioni di organismi multicellulari ancora sconosciuti alla scienza.
http://theconversation.com/how-many-undiscovered-creatures-are-there-in-the-ocean-86705
E non sono infrequenti scoperte di nuove forme di vita, come la Chloeia bimaculata, il cui annuncio è di questo agosto
Le Nazioni Unite hanno proclamato il 2021-2013 Decennio delle scienze oceaniche per lo sviluppo sostenibile con l’obiettivo primario di sostenere i paesi nel raggiungimento dell’Obiettivo 14 dell’Agenda 2030: conservare e utilizzare in modo durevole gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile.
La Commissione Intergovernativa Oceaonografica dell’UNESCO (Intergovernmental Oceaonographic Commission-IOC), coordinerà gli sforzi mondiali per migliorare la gestione delle risorse degli oceani e delle zone costiere.
Per soddisfare i propri bisogni infatti, circa 3 miliardi di persone dipendono direttamente dalla biodiversità marina e costiera. L’Oceano assorbe circa un terzo della CO2 di origine antropica e attenua gli effetti del riscaldamento globale. Ma la scienza non è ancora in grado di valutare gli effetti cumulativi delle attività umane, dell’inquinamento, del riscaldamento e dell’acidificazione sulla salute degli oceani, effetti che minacciano ambienti vitali per la sopravvivenza della specie umana e dell’intero pianeta. Secondo il Global Ocean Science Report dell’Ioc https://en.unesco.org/gosr
«Le spese nazionali dedicate alle scienze oceaniche rappresentano solo tra lo 0,04% e il 4 % del totale investito in ricerca & sviluppo»
GreenReport. L’ONU dichiara 2021-2013 decennio delle scienze oceaniche
Uno studio pubblicato nel marzo di quest’anno su Nature Climate Change e riportato da National Geographic ha stabilito che gli effetti delle ondate di caldo negli oceani sono sensibilmente aumentati nel corso degli ultimi decenni e che sta diventando sempre più evidente quanto le temperature più calde siano letali per la biodiversità.
Le ondate di calore in mare sono periodi nel corso dei quali la temperatura dell’acqua di una determinata regione diventa eccezionalmente calda. Nel corso degli ultimi 30 anni i giorni di ondate di calore in mare sono aumentati del 54 percento. Gli autori dello studio hanno correlato questo aumento con il declino della vita negli oceani.
Lo studio ha preso in esame anche ondate di calore eccezionali come il “blob”, una consistente massa di acqua calda che ha stanziato al largo della costa occidentale statuniutense dal 2014 al 2016, causando una massiccia moria di ogni specie di vita, dagli invertebrati ai mammiferi marini.
Secondo lo studio, tre ambienti sono stati colpiti in maniera estremamente dura dal riscaldamento delle acque: le barriere coralline dei Caraibi, le erbe di mare in Australia e le foreste di kelp al largo della California. Il riscaldamento sconvolge le tipiche funzioni di questi habitat ecologici. I coralli, ad esempio, si stressano quando sono sottoposti al riscaldamento delle acque in cui vivono. In questi casi espellono le loro alghe simbiotiche e subiscono un processo definito sbiancamento.
Sulla Grande Barriera Corallina oltre la metà dei coralli presenti nella regione sono già morti. E quando muoiono non offrono più sostegno alle centinaia di pesci e di altre specie marine che vivono lungo le barriere coralline.
La diminuzione della biodiversità ha un impatto sulla sicurezza alimentare e sulle economie che si basano sulle risorse marine. Uno studio pubblicato su Science ha accertato che il cambiamento climatico sta provocando la scomparsa dei pesci.
Ad essere particolarmente colpiti dal riscaldamento delle acque sono stati gli stock ittici del Mare del Nord e il tratto tra Corea e Giappone, con perdite fino al 35% rispetto alla disponibilità del 1930.
Gli effetti dei cambiamenti climatici su distribuzione e abbondanza della vita marina sono ancora oggetto di studio, poiché diversi modelli possono portare a conclusioni divergenti.
Un secondo studio apparso nel giugno 2019 su PNAS compie una valutazione globale utilizzando un insieme di più modelli climatici ed ecosistemici, e rivela che la biomassa globale degli animali marini diminuirà in tutti gli scenari di emissione, trainata dall’aumento della temperatura e dalla diminuzione della produzione primaria.
Senza pesca, la stima della diminuzione della biomassa animale globale media è del 5% a basse emissioni e del 17% a emissioni elevate entro il 2100, con un calo medio del 5% per ogni 1 ° C di riscaldamento.
I risultati indicano che la biomassa animale oceanica globale diminuisce costantemente con i cambiamenti climatici e che questi impatti sono amplificati a livelli trofici più elevati. I prossimi passi per lo sviluppo di modelli includono scenari dinamici di pesca, impatti cumulativi sull’uomo e gli effetti delle misure di gestione sulle tendenze future della biomassa oceanica.
Guardando al Mediterraneo, dal 2005 temperatura e salinità sono aumentate a velocità doppia rispetto al XX secolo. Gli effetti dirompenti dei cambiamenti climatici sono stati rilevati dai ricercatori dell’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche di Venezia (Ismar-Cnr) sono descritti in uno studio pubblicato su Scientific Reports, e realizzato in collaborazione con il britannico National Oceanography Centre di Southampton e il tunisino Institut National des Sciences et Technologies de la Mer di Salamboo.
LIfegate – effetti dei cambiamenti climatici sul Mediterraneo
Il grafico descrive l’aumento di temperatura e di salinità nel Mar Mediterraneo registrata a 400 metri di profondità nel Canale di Sicilia. Fonte: Ismar-Cnr.
I nuovi studi evidenziano cambiamenti molto repentini nel contenuto salino e di calore: dal 2005 i parametri stanno crescendo a velocità doppia rispetto al periodo 1960-2005. Da allora si parla di transizione del Mediterraneo occidentale, un periodo di eventi di formazione di grossi volumi di acqua profonda particolarmente calda e salata, che ha segnato l’inizio di un drastico mutamento nella struttura degli strati intermedi e profondi del bacino occidentale. Questi dati suggeriscono quindi una veloce transizione verso un nuovo equilibrio che si riverbera sull’ecosistema marino profondo.
I cambiamenti descritti che riguardano il Mediterraneo sono ancora più marcati rispetto a quelli degli oceani. E’ quanto emerge da uno studio apparso su Nature Climate Change, e riportato da Focus.
I primi risultati confermano che il bacino del Mediterraneo supera le tendenze globali nelle ricadute ambientali, perché amplificate dal fatto che si tratta di un’area fondamentalmente chiusa, dall’uso intensivo dei suoli, dall’urbanizzazione e dall’inquinamento delle regioni che si affacciano su questo mare.
Le Scienze. Focus su Mar Adriatico e riscaldamento
Come conseguenza sono a rischio diverse specie, incluse quelle che creano habitat favorevoli alla biodiversità, con il conseguente effetto domino. Tra queste la Posidonia, una specie di cui negli ultimi 50 anni si è perso il 34% e a causa di fenomeni naturali (erosione costiera, cambiamenti climatici) e alla cattiva gestione della fascia costiera (opere portuali, installazione di cavi e condotte sottomarine, costruzione di terminali marittimi al largo delle coste, impianti di rigassificazione ed eolico off-shore).
Ansa. Posidonia oceanica nel Mediterraneo
La mappatura costante della Posidonia ci permette quindi di ricavare indicatori sullo stato di salute dei nostri mari. Per renderla più accurata e completa, un primo esperimento frutto della collaborazione tra ISME e Arpal Liguria ha iniziato ad utilizzare i sistemi di geolocalizzazione e i veicoli messi a punto dal centro di ricerca per mappare l’estensione della Posidonia sui fondali liguri.
Alcune fasi dell’esperimento
Oltre alla Posidonia, ad essere minacciate sono anche le scogliere coralline mediterranee, il coralligeno, termine con il quale s’intende un fondo duro, secondario, formato dal concrezionamento dei talli di numerose specie di alghe rosse e, in misura minore, dal contributo di scheletri animali, che possono dare origine a formazioni di diversi metri di spessore.
Data la situazione, il monitoraggio di mari e oceani e dei loro ecosistemi è di importanza capitale.
Ma una migliore comprensione del clima e degli ecosistemi oceanici, nonché degli impatti e delle vulnerabilità umane, richiede il coordinamento di un sistema continuo e di lungo periodo di osservazioni oceaniche. In questo contesto, Il sistema GOOS (Global Ocean Observing System) dell’UNESCO nasce con l’ambizione di coordinare tutte le osservazioni sull’oceano condotte dalle diverse piattaforme di monitoraggio attualmente operative. Tre gli ambiti monitorati:
– clima: modellizzazione dei cambiamenti climatici globali e variabilità e il monitoraggio degli impatti dei programmi di mitigazione dei cambiamenti climatici;
– Informazioni oceaniche e climatiche a breve termine su meteo e fenomeni estremi, come le previsioni di El Niño, che sono essenziali per l’agricoltura globale, la gestione delle risorse idriche e la riduzione del rischio di catastrofi.
– salute dell’ecosistema marino, facilitando il monitoraggio degli oceani per la conservazione della biodiversità e il mantenimento di servizi ecosistemici oceanici sostenibili.
Attualmente il sistema è in fase di standardizzazione. Esistono infatti diversi vincoli, concettuali e pratici, alla più ampia adozione dei tipi di standard di interoperabilità dei dati stabiliti descritti ai progetti coinvolti nell’osservazione degli oceani, che a loro volta incidono sull’usabilità e l’accessibilità dei dati e sul progresso di GOOS in generale.
https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fmars.2019.00442/full
Un sistema sostenuto di osservazioni biologiche richiede misure chiaramente definite e condivise, protocolli documentati per il campionamento e un accordo sull’uso di quadri comuni per l’archiviazione e la pubblicazione di dati e metadati.
https://geobon.org/downloads/scientific-publications/2018/fmars-05-00211.pdf
