In un presente sempre più connesso, in cui gli oggetti raccolgono e scambiano informazioni con noi e tra loro, crescono le capacità di monitorare tutti gli ambienti, anche i più estremi. Applicare queste possibilità in ambito subacqueo rappresenta la sfida del Progetto SUNRISE: una rete di connessioni per il monitoraggio e la conservazione di mari e oceani, uno strumento per la ricerca di materie prime, per gli studi di itticoltura, ma anche per l’archeologia subacquea. L’internet of things diviene così l’internet of underwater things. Uno scenario che lascia intravedere ambiziosi traguardi ma che pone grandi ostacoli da affrontare, come ci spiega Chiara Petrioli, docente di Informatica all’Università La Sapienza di Roma e coordinatrice del Progetto SUNRISE.
La Terra è ricoperta per due terzi d’acqua, e gran prte delgi oceani è ancora insesplorata. Eppure la nostra vita dipende in gran parte proprio dal mare, dagli oceani e dai bacini d’acqua dolce.
La Fao stima addirittura che entro il 2050 la metà del cibo che consumiamo verrà dal mare.
Il report The State of World Fisheries and Aquaculture (SOFIA) riporta che entro il 2030 la produzione di pesca e di acquacoltura crescerà a 201 milioni di tonnellate, un aumento del 18 percento rispetto all’attuale livello di produzione di 171 milioni di tonnellate. Ma la crescita futura richiederà continui progressi nel rafforzamento dei regimi di gestione della pesca, nella riduzione di perdite e sprechi e nell’affrontare problemi come la pesca illegale, l’inquinamento degli ambienti acquatici e i cambiamenti climatici, aggiunge il rapporto. “Il settore della pesca è fondamentale per raggiungere l’obiettivo della FAO di un mondo senza fame e malnutrizione e il suo contributo alla crescita economica e alla lotta contro la povertà è in crescita”, ha dichiarato il direttore generale della FAO José Graziano da Silva. “Il settore non è privo di sfide, tuttavia, compresa la necessità di ridurre la percentuale di stock ittici pescati oltre la sostenibilità biologica”, ha continuato.
http://www.fao.org/news/story/en/item/1144274/icode/
Effettuare un monitoraggio continuo ed efficace di sistemi di acquacoltura e allevamenti ittici, come avviene per i loro corrispettivi sulla terra, è necessario, coì come monitorare il mondo sommerso per proteggere habitat e risorse che custodiscono una biodiversità che va scomparendo.
Per poterlo fare, è però necessario progettare tecnologie e dispositivi analoghi a quelli terrestri, ma che funzionino sotto il mare.
In questo contesto è nato il progetto europeo Sunrise, conclusosi da poco, e guidato dal nodo Isme dell’Università la Sapienza di Roma insieme partner sia italiani che internazionali.
Lo scopo è sviluppare una rete per le comunicazioni sottomarine, performante e a basso costo, che consenta di conoscere in modo più approfondito l’ambiente subacqueo, ampliando anche le nostre capacità di monitoraggio e intervento in ambienti altrimenti preclusi all’essere umano.
Sunrise ha sviluppato la tecnologia per interfacciare i due mondi, marino e terrestre, e permetterci di conoscere e comprendere, mappare, controllare, e usare in modo sostenibile le risorse che ci vengono dall’ambiente marino..
Ma costruire una rete fra dispositivi eterogenei portando la capacità di cooperare tipica dell’IoT nel mondo marino. È complicato perché non possiamo utilizzare le tecnologie che usiamo efficacemente nel mondo terrestre – come per esempio le onde radio – perché si propagano per pochi centimetri in acqua. Possiamo usare la comunicazione ottica wireless (il modem ottico wireless è uno dei dispositivi sviluppati da Sunrise nell’ultimo anno) per distanze corte, ossia una decina di metri. Di fatto l’unica modalità di comunicazione a lungo raggio in reti che tipicamente coprono dimensioni elevate (decine di chilometri o più) è quella che usano i mammiferi marini, ossia la comunicazione acustica.
Un ulteriore passo in avanti è stato far comunicare tra loro dispositivi diversi, caratterizzati da sistemi proprietari e modem costruiti da aziende diverse che, in genere, non sono in grado di dialogare tra loro. Così è nato il primo standard di comunicazione acustica sottomarina integrata: Janus, l’esperanto 3.0.
Why The Internet of Things will need Underwater Communication Systems
Intervista alla coordinatrice del progetto Chiara Petrioli: quali risultati
Il progetto ARchEOSUB si occupa invece dell’applicazione tecnologia della wireless subacquea alle operazione di studio archologico dei siti sommersi. I sub sono ptovvisti di tablet e in grado di comunicare con droni subacquei che effettuano il monitoraggio dei siti
http://www.archeosub.eu/index.php/it/
https://dl.acm.org/citation.cfm?id=3326632
