Quando pensiamo a frontiere inesplorate, di solito ci immaginiamo lo spazio. Eppure, la porzione di spazio che circonda la Terra ci è più noto dei fondali marini.
Con Andrea Caiti, del Nodo ISME dell’Università di Pisa, parliamo delle tecnologie che ci permettono di esplorare il Pianeta Blu, i veicoli subacquei autonomi.
In grado di scandagliare i fondali marini e fare rilevazioni di tipo ambientale, questi robot operano da soli o in gruppo, si scambiano informazioni e prendono decisioni in modo autonomo per compiere una missione
Solo il cinque percento dei fondali marini è stato mappato topograficamente. Dato che gli oceani occupano circa il 70% della superficie terrestre, questo significa che il 65% dell’intero pianeta resta sconosciuto.
Siamo invece molto più avanzati nella conoscenza dello spazio. La NASA è riuscita a mappare Mercurio, il pianeta Cerere, quasi tutto Venere e persino Marte, che dista oltre 220 milioni di km da noi. Per non dimenticare, poi, le immagini satellitari della Luna, estremamente dettagliate.
Le mappe dei fondali oceaniciche riusciamo a costruire sono ad una risoluzione molto bassa, al massimo cinque chilometri, il che ci consente di avere una conoscenza molto grossolana della morfologia delle terre sotto la colonna d’acqua oceanica.
Se paragonate alla risoluzione a 20 metri delle mappe marziane, siamo chiaramente anni luce indietro.
Risoluzioni di mappe a confronto: da sinistra Marte, la parte inferiore dell’Oceano Atlantico settentrionale e l’Inghilterra meridionale. Tutte le mappe sono alla stessa scala. Nella mappa del fondo marino si possono distinguere le tracce di risoluzione più alta di una mappa sonar raccolta in mare. Le mappe provengono rispettivamente dalla NASA, dal NOAA e da OpenStreetMap. Il paragone e la didascalia dell’immagine sono tratti dalla tesi di dottorato “Autonomous Underwater Vehicle Photographic Surveys in Complex Terrain”, di Sophia Maria Schillai, Faculty of Engineering and Physical Sciences, University of Southampton, Ottobre 2018
La scarsa conoscenza del fondale degli Oceani è diventata cosa nota dal tragico episodio del volo mh370 della Malaysa Airlines, scomparso l’8 marzo 2014. Le ricerche del velivolo hanno portato alla luce montagne, canyon e pianure sommersedel tutto ignote nel tratto di Oceano Indiano dove si riteneva fosse caduto.
L’area dove potrebbe trovarsi il relitto dell’aereo scomparso si è formata dalla separazione di due placchegeologiche, tra 100 e 20 milioni di anni fa.|AUSTRALIAN TRANSPORT SAFETY BUREAU
- Ma così successo al volo della Malaysia Airlines mh370? Una ricostruzione qui
La ragione per cui è più facile ottenere foto di oggetti nello spazio che in fondo al mare è che l’acqua del mare tende a bloccare le onde elettromagnetiche dei radar, usate per comunicazione, la navigazione, la mappatura e il rilevamento sulla terra. Per riuscire a produrre immagini in alta risoluzione del fondo del mare, gli esperti hanno bisogno di impiegare onde acustiche generate da sonar, e di avvicinarsi il più possibile al fondale marino tramite veicoli subacquei autonomi.
I veicoli devono avvicinarsi molto al loro soggetto, dai 3 ai 10 metri, farlo con una comunicazione limitata alla superficie e senza mappe in anticipo dell’area in cui sta navigando.
Perché questo sia possibile, devono avere un certo livello di autonomia.
Come sono fatti dei veicoli autonomi subacquei che esplorano i fondali e compiono misurazioni ambientali in mare?
Si muovono da soli o in gruppo?
Lo spiega Andrea Caiti al microfono di Federico Pedrocchi, mostrando il robot Folaga
Il Podcast gratuito con tutte le puntate al link: http://www.radio24.ilsole24ore.com/podcast/mare-futuro.xm
