Si è concluso da poco il progetto WiMUST, finanziato dall’UE nell’ambito del programma Horizon2020 , e che ha visto coinvolta ISME assieme a Università, Enti di Ricerca e aziende da sei Paesi d’Europa (Portogallo, UK, Francia, Germania, Italia e Olanda).
WiMUST ha messo a punto una tecnica innovativa per fare rilevazioni dei fondali marini, utilizzando robot marini autonomi. Questo potrebbe risolvere molti dei problemi che ancora oggi si incontrano nel cercare di conoscere e studiare le caratteristiche del “pianeta mare”.
Fino ad ora – afferma il coordinatore del progetto Giovanni Indiveri, dell’Università del Salento, membro di ISME – l’esplorazione geotecnica e geofisica dei fondali ha richiesto un sistema molto grande e complicato. Una nave provvista di una sorgente acustica genera un suono che penetra l’acqua fino al fondale, che lo “rimbalza”. Il segnale di ritorno è poi acquisito da gruppi di ricevitori (idrofoni) montati lungo lunghi cavi a loro volta trainati in superficie dalla nave. L’insieme degli streamer formano un’antenna acustica di geometria prestabilita e fissa, in grado di captare i segnali di ritorno e quindi, in base ad essi, stabilire le caratteristiche del fondale. Gli streamer sono estremamente lunghi, e possono arrivare anche a 10-15 chilometri di lunghezza, il che rende questo tipo di rilevazioni molto macchinose e difficoltose”.
Nave con streamer, collocati 1-2 mt sotto la superficie
Al contempo però, una modalità di rilevazione delle caratteristiche dei fondali è essenziale per poter acquisire dati e informazioni su un “mondo” ancora parzialmente ignoto.
WiMUST ha sviluppato sistemi di monitoraggio più avanzati, meno ingombranti e più flessibili, basati su piccoli robot subacquei cooperativi, in gradi di muoversi in squadra e di condividere informazioni, come un vero e proprio team. Nel sistema WiMUST, ogni streamerè trainato da un robot subacqueo piuttosto che da navi. I veicoli subacquei si muovono in formazione, cambiando configurazione grazie alle informazioni che condividono, come fanno gli sciami di insetti.Il progetto ha infatti sviluppato un algoritmo di navigazione che consente ai robot di localizzarsi tramite un meccanismo di trasmissione acustica.
Grazie alla capacità di muoversi in branco in modo autonomo, i robot potranno in futuro navigare con gli streamer più vicini al fondale, garantendo di conseguenza, una migliore qualità del segnale, e quindi una maggiore accuratezza dei dati di rilevamento.
Il sistema wimust: ogni robot ha uno streamer autonomo in grado di rilevare il segnale di ritorno. I robot cambiano spontaneamente formazione in base alle informazioni che si scambiano, raggiungendo di volta in volta la configurazione ottimale per il rilevamento dei dati.
L’esperimento finale di WiMust
“In futuro -aggiunge Indiveri- potremo quindi anche puntare a una riduzione dell’intensità del segnale: mandando i robot e i cavi più in profondità infatti il segnale acustico lanciato dalla nave dovrà fare meno strada prima di essere “raccolto” dagli idrofoni, e quindi, in linea teorica, potrà essere meno intenso, permettendoci di affrontare il grosso problema delle interferenze dei nostri segnali acustici con quelli dei cetacei, come succede con “il canto delle balene”. Ancora non siamo arrivati a farlo, ma una delle mission di ISME è diretta allo sviluppo di tecnologia marina a basso impatto, e in grado di proteggere l’ambiente del mare e degli oceani”.
Un ulteriore traguardo raggiunto dal progetto è stato quello di sostituire la nave che lancia il segnale acustico con due catamarani autonomi, rendendo così il sistema di rilevamento dei fondali completamente automatizzato.
I veicoli autonomi subacquei del sistema wimust
