In un paese come il nostro, che deve convivere con gli eventi sismici per la sua storica morfologia geologica, studiare tutti gli aspetti di un terremoto è un compito fondamentale.
Ma lo è in generale, perché sono tante le zone del pianeta che devono convivere con questi fenomeni.
Eucentre è un centro che lavora in questo campo. I suoi laboratori si trovano all’Università di Pavia, con attrezzature che fanno del centro uno dei luoghi di eccellenza internazionale per la sismologia. Qui si simulano, su grandi piattaforme, le più diverse modalità dei terremoti. Si sviluppano anche tecnologie in grado di attenuare i danni a persone ed edifici.
Ne parliamo con Carlo Lai, advisor del dipartimento Scenari di Rischio di Eucentre, che sta coordinando LIQUEFACT, un progetto europeo dedicato a uno dei fenomeni meno noti, la cosiddetta liquefazione del terreno.
Sono numerosi nella storia passata e recente gli eventi sismici che causano il fenomeno noto come “liquefazione del terreno”, che si verifica quando un sedimento sottoposto a pressione e vibrazione perde temporaneamente, ma improvvisamente, resistenza e si comporta come un liquido denso. Questo può accadere su terreni sabbiosi o argillosi, che sono saturati da falde acquifere. Su questo terreni, la scossa del terremoto aumenta la pressione dell’acqua sul terreno e la “liquefa”.
A seconda del luogo dove avviene, il fenomeno può avere conseguenze più o meno gravi: dalle improvvise valanghe di fango – se la liquefazione interessa un versante collinare – al cedimento di edifici, che sprofondano per diversi centimetri nel terreno e possono perciò crollare o risultare poi inagibili. Naturalmente il fenomeno può avvenire anche in campagna, in zone coltivate, con danni materiali più contenuti.
Un fenomeno di liquefazione del suolo nelle campagne di San Carlo, in Emilia, in seguito ai terremoti del 2012.
Un esperimento che si può fare a casa, per capire come funziona: la sabbia nel secchiello è satura d’acqua. In condizioni di assenza di scosse, la sabbia regge comunque il sasso posato sopra. Ma scuotendo il secchiello, la pressione dell’acqua nel terreno lo rende più liquido, e il sasso sprofonda.
Un esperimento condotto nel laboratorio dell’Università di Pavia mostra cosa succede a due edifici, uno fondato su plinti (fondazioni superficiali), l’altro su pali (fondazioni profonde), quando si verifica la liquefazione di un terreno a seguito di un terremoto. L’esperimento è stato realizzato con il finanziamento della Commissione Europea nel progetto LIQUEFACT – http://www.liquefact.eu/
Presso l’Università di Pavia è inoltre attivo dallo scorso anno un percorso di formazione di ingegneri specializzati nella valutazione e mitigazione del rischio dai disastri naturali
Un curriculum estremamente importante in una paese come l’Italia, che ha avuto nella storia un gran numero di terremoti di intensità moderata (Oltre 4.2 della scala mercalli) che hanno generato eventi di liquefazione. Il Territorio Italiano è infatti caratterizzato da una sismicità elevata lungo la catena appenninica e le alpi orientali. Ampie aree potenzialmente soggette a liquefazione si trovano lungo le coste Tirreniche e Adriatiche e la pianura padana.
Eventi sismici severi si sono verificati negli ultimi secoli in Calabria, Sicilia orientale e Campania.
Nella mappa sottostante la distribuzione di casi di liquefazione dal 1117 a.c. al 1990 (studio riportato nell’articolo “New empirical relationships between magnitude and distance for liquefaction” – Tectonophysics 324(3):169-187 · Settembre 2000)
Il Terremoto in Calabria meridionale e Sicilia del 1783
Tra gli eventi sismici più famosi e documentati, anche per l’interesse suscitato in diversi scrittori, da Dumas a Goethe, il terremoto in Calabria, che iniziò con la prima scossa il 5 febbraio
Secondo quanto riporta Giovanni Vivenzio “all’ore diciannove, ed un quarto d’Italia, che corrispondevano in detto giorno a tre quarti d’ora circa dopo il mezzodì dell’Oriuolo Francese… La notte di detto giorno venendo il sei all’ore sette, e mezza d’Italia replicò altra forte scossa…”. Nicola Leoni racconta: “udissi improvvisamente nelle più profonde viscere della terra un orrendo fragore; un momento dopo la terra stessa orribilmente si scosse e tremò”.
La piccola città di Cinque Frondi, chiamata così per le cinque torri che si elevavano al di fuori delle sue mura, fu completamente distrutta: chiese, case, piazze, strade, uomini, animali… tutto perso, tutto scomparso, immediatamente sommerso sotto molti piedi di terra (…)”. (Alexandre Dumas padre, Impressioni di viaggio, 1835)
Avvertito in oltre 350 siti, devastò la piana di Gioia Tauro ed i Piani d’Aspromonte. Nell’arco di tre giorni nuove potenti scosse, con epicentri fra la provincia di Reggio e quella di Messina moltiplicarono gli effetti. Fu avvertito dalla Costiera Amalfitana al Salento ed in tutta la Sicilia. Incendi, morte e distruzione colpirono Reggio e Messina, praticamente rase al suolo.
Nello Stretto seguì uno tsunami, con l’acqua che invase i viali delle due città.
Il terremoto causò fra le 30 mila e le 50 mila vittime, attestandosi come la più grande catastrofe che colpì l’Italia meridionale nel XVIII secolo.
I danni furono incalcolabili in una vasta area comprendente tutta la Calabria centro-meridionale dall’istmo di Catanzaro allo Stretto, e, in Sicilia, Messina e il suo circondario: agli effetti distruttivi sugli edifici si accompagnarono estesi sconvolgimenti dei suoli e del sistema idrogeologico, specialmente sulla fascia tirrenica da Reggio a Maida.
Tra i vari sconvolgimenti det territorio, anche quelli causati dalla liquefazione del suolo: tutta la pianura circostante produsse conche circolari, larghe approssimativamente un paio di metri e piene di sabbia o acqua per 5–6 m, caratteristiche tipiche dei fenomeni di liquefazione delle sabbie indotti dalle scosse di terremoto, i cosiddetti “vulcanelli”.
Tra il 1783 ed il 1787 si formarono 215 laghi in tutto il territorio interessato dal sisma, e in alcuni posti irruppero dal suolo abbondanti corsi d’acqua melmosa o anche enormi zampilli.
Pizzo dopo il terremoto
Messina
Il Terremoto in Emilia (2012)
In Italia, il fenomeno di liquefazione più recente è stato causato dal terremoto in Emilia nel 2012.
La Geotechnical Extreme Events Reconnaissance (GEER) Association, un’istituzione di ricerca statunitense finanziata dalla National Science Foundation (NSF) che organizza missioni di ricognizione post-sismica di tipo geotecnico in tutto il mondo nelle ore immediatamente successive al verificarsi di un terremoto, ha pubblicato un report sul terremoto, che mette in luce come le aree interessate dal terremoto fossero depositi di terreno alluvionale e fluviale-lacustre dell’Olocene.
La parte meridionale della provincia di Ferrara è attraversata dal fiume Reno, il fiume più importante della regione Emilia-Romagna dopo il fiume Po. Il fiume Reno è un fiume antico il cui corso ha subito variazioni lungo la pianura nel corso dei secoli. Le sue acque ristagnavano spesso in un’ampia valle tra Bologna e Ferrara.
Lo studio comparai luoghi di liquefazione con quelli associati al terremoto che si verificò a Ferrara il 17/11/1570. Sulla stessa figura si sovrappongono i siti con prove di liquefazione verificatesi durante i recenti terremoti del 20 maggio e 29 maggio 2012.
Evidenze di luquefazione dopo I terremoti del 20 e 29 maggio 2012 (http://geo.regione.emilia-romagna.it).
Area di liquefazione.
Il Terremoto in Indonesia
Un evento sismico più recente e ancora più importante si è verificato lo scorso 28 settembre 2018 in Indonesia. Il report al link http://www.geerassociation.org/administrator/components/com_geer_reports/geerfiles/GEER_Palu_Version_1.pdf
Il terremoto di magnitudo 7.5 ha sconvolto il paesaggio di una vasta area nelll’isola di Sulawesi. Il fenomeno di liquefazione del terreno si è manifestato, in maniera repentina, nel villaggio di Petobo. Un fiume di fango ha invaso le strade trascinando per centinaia di metri interi quartieri, e causando duemila morti solo nel villaggio.
La liquefazione del terreno ha sorpreso gli abitanti, che mai si sarebbero aspettati che la loro abitazione fosse investita da unfiume di fango in occasione di una forte scossa di terremoto.
Eppure la liquefazione del terreno nell’isola di Sulawesi, come anche in altre aree dell’Indonesia, rappresenta un fenomeno frequente e che si aggiunge alle onde di tsunami ed alle eruzioni dei tanti vulcani disseminati lungo l’isola.
Il fenomeno che ha interessato le coste è legata ad un probabile slittamento dellefalde sottomarine che, innalzandosi dai fondali, hanno spinto le onde ed i sedimenti verso la costa. La liquefazione ha ingoiato intere oggetti e persone. Il tutto accompagnato da vaste frane che hanno spostato intere ettari di terreno, in alcuni casi riversandolo nell’oceano, producendo tsunami localizzati.
liquefazione vista dal satellite
